Cause della vulvodinia
Il dolore pelvico cronico (D.P.C.) comprende la vulvodinia, la nevralgia del pudendo, l’endometriosi, la cistite interstiziale e la fibromialgia, che sono tutte patologie invalidanti, caratterizzate da una estrema difficoltà di diagnosi, essendo malattie “silenti”.
La diagnosi
Il dolore Pelvico è un disturbo costante, invalidante che spesso tarda ad essere compreso , dopo un lungo e tortuoso percorso che passa tra l’insorgere del sintomo ad una corretta diagnosi e conseguente presa in carico.
Spesso il D.P.C. è una reazione ad un danno tissutale, reale e potenziale. Per l’Endometriosi si cerca qualcosa che sia tangibile, ma per la Vulvodinia con alterazione dei processi fisiologici ed in assenza di un’ezio-patologia specifica o infettiva, è più difficile fare una diagnosi precoce.
La strada verso una diagnosi precoce è ancora lunga e passa per una formazione specialistica sempre più avanzata, con una sempre maggiore consapevolezza sul tema, in quanto le donne arrivano in ambulatorio con forme gia avanzate e dolori invalidanti.
L’iter diagnostico si compone di un percorso specialistico che porta al riconoscimento dei Trigger point del dolore pelvico, ma a monte deve esserci ovviamente un esame clinico e strumentale dell’apparato genitale, per escludere altre patologie.
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La terapia
A livello terapeutico è possibile intervenire con un percorso strutturato e multidisciplinare, dall’ambito uroginecologico a quello psicologico e comportamentale.
Oggi abbiamo diverse possibilità sia dal punto di vista farmacologico che fisico , con stili comportamentali non solo fisici ma anche psicologici, che possono innescare quei meccanismi che portano ad un ipertono muscolare che è un fattore di rischio.
La terapia del dolore pelvico cronico, non può essere standardizzata ma deve essere costruita su misura per la singola paziente e non dipende dal farmaco usato, ma dal come lo si usa e dal momento giusto in cui iniziarlo, dalla posologia e dal corretto accompagnamento al giusto integratore .
Il successo della terapia dipende da una buona presa in carico multidisciplinare , farmacologica e psicologica e dalla consapevolezza del pieno diritto alla cura . Questa in genere parte da farmaci neuromodulatori che ci vengono prestati dalla neurologia e che agiscono sui neurotrasmettitori, come l’amitriptilina a basse dosi, che consente di avere una buona efficacia e minimi effetti collaterali.
Può essere inoltre utilizzata la terapia elettrica, insieme ad un corretto stile di vita.
- Scritto da Rosanna Piancone
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Ho deciso di scrivere la mia storia per le molte ragazze, donne e future madri magari si ritrovano con un pugno di cateteri in mano e mille paure. Ecco io vorrei dire loro che non devono avere paura, che non va sempre tutto male, che non siamo malate, che non siamo diverse, che anche con un catetere per fare pipì si può essere una donna affascinante, bella e soprattutto libera...in modo diverso.
La diagnosi
Era il lontano 1998 avevo 27 anni, pronta per partire per Milano per il mio primo lavoro a tempo indeterminato, allora vivevo a Roma.
Mi ricordo che ero piena di aspettative, di entusiasmo per questa nuova vita. La presa di servizio sarebbe stata a metà settembre.
Una settimana prima della partenza sono stata colta da una febbre alta improvvisa e dolori lancinanti al basso ventre.
Ricoverata d’urgenza in codice rosso: “Peritonite da ciste endometriosica suppurata e purulenta”.
Quindici giorni di ospedale.
A metà ottobre un second look per pulire bene il resto. Altra settimana in ospedale.
Guarita o quasi, il Prof. Huscher (menomale che c’era lui che mi ha operato in laparoscopia...) mi informa che sono affetta da una patologia che ancora si conosce poco: l’Endometriosi.
Mi invita a tenerla sotto controllo e mi consiglia di farmi seguire dall’unico centro operativo presente in Italia, il Sacro Cuore Don Calabria a Negrar vicino Verona, e in particolare mi indica il suo amico il Dott. Minelli. Dall’ospedale mi dimettono con una fiala di ENANTONE al mese e per sei mesi niente mestruazioni. Vampate e irritabilità come se stessi in menopausa.
Approfondimento: cos'è l'endometriosi?
Il peggioramento
Da Roma mi trasferisco finalmente a Milano e finché vivo lì è tutto facile, un’ora di treno e sono a Verona, posso anche andare in macchina. Dopo qualche anno di vita milanese ritorno nuovamente a Roma, dove
c’è la mia casa e i miei amici. Purtroppo da Roma andare a Verona diventa complicato e particolarmente dispendioso. Decido di affidarmi a un ginecologo consigliatomi da una mia collega, uno dei migliori mi dice. Dopo tre anni dall’intervento del 1998 lamento nuovamente dolori lancinanti quando ho le mestruazioni, dolori lancinanti al momento della defecazione, fitte come se mi passasse un coltello tagliente dall’ano fino alla pancia che mi portano ad immobilizzarmi per qualche secondo. Questo medico mi dice che c’è una piccolissima macchietta di endometriosi sul sigma che non è operabile e non si può fare nulla. Mi dà la pillola continuativa ma i dolori peggiorano.
Nel 2004 mi sposo e decido qualche mese prima del matrimonio di interrompere la pillola per provare ad avere un figlio, dicono che la gravidanza aiuta in questi casi. Purtroppo i dolori diventano insopportabili, invalidanti e prendo antidolorifici molto forti. Io e mio marito decidiamo di tornare a Negrar, lì mi ricoverano di urgenza e mi sottopongono a una risonanza magnetica.
La situazione è drammatica. Non una macchietta, come diceva il miglio dottore di Roma, ma con la RM, si vede una “colata lavica” di endometriosi dietro l’utero, stenosi uretrale sinistro, stenosi del retto,
compromissione del sigma, endometriosi sulla vescica.
Devo essere rioperata, rischio una occlusione intestinale, rischio di perdere il rene.
L'intervento
Purtroppo il destino vuole che non può operarmi il Dott. Minelli e mi affida a un suo collega, dicendomi bravo quanto lui. Intervento di circa sette ore, terapia intensiva. Finalmente riesco a
uscire dalla terapia intensiva e tornare in corsia. L’intervento è andato bene, hanno pulito tutto, forse hanno pulito tutto troppo bene, non utilizzando la tecnica nerve sparving, una tecnica che risparmia
i nervi della zona interessata. Dopo qualche giorno mi tolgono il catetere. Non posso dimenticare quella sensazione, non sentivo nulla: la mia vescica era morta. Non sento lo stimolo, per urinare
interviene sempre l’infermiera di turno che mi cateterizza dicendomi che la vescica si riprenderà...
Mi dimettono dall’ospedale con un pugno di cateteri in mano. Il post operatorio è un inferno. Avevo 33 anni, ero giovane e appena sposata, volevo una famiglia e dei figli, io e mio marito ci amavamo e
volevamo solo essere felici.
Qui è iniziata la mia lotta, la mia storia con il mio nuovo stato: Vescica neurologica e atonica. Dopo un mese dall’intervento mi tornano le mestruazioni e finalmente i dolori sono scomparsi, posso
camminare, correre, saltare, insomma posso fare una vita pseudo normale insieme ai miei cateteri.
Approfondimento: leggi i consigli di Melina sull'autocateterismo
La gravidanza
Passano altri due mesi e non mi vengono le mestruazioni. Mi chiedo cosa sia successo, ho tutti i sintomi, mi sento come se le avessi ma non ci sono. Chiamo il centro di Negrar e mi dicono di fare un test di gravidanza...UN TEST DI GRAVIDANZA. Sì, è vero il test. Mi sento che qualcosa dentro di me c’è, sento che può essere. Faccio il test il 14 Febbraio 2005: POSITIVO!!! Non posso crederci, sono
incinta! La gravidanza procede in modo difficile, complicata, con cistiti e malesseri, paure e ginecologi incompetenti. A ogni visita mi prescrivono antibiotici che non si sa se facciano male al feto, ma per testardaggine e per salvaguardare la mia bambina sento che non devo prenderne neanche uno. MI ricordo di aver preso solo un Monuril. Cerco di fare i miei autocateterismi in modo pulito, cerco di non frequentare bagni pubblici, rimango a casa il più possibile, per preservare la mia piccola bambina, la cosa più bella che mi sia capitata.
La mia piccola nasce di 32 settimane un po’ minuta, solo 2,3 Kg. E’ piccolina ma forte. Non posso credere che sono riuscita a portare a termine la mia gravidanza nonostante tutto, nonostante tutti i batteri, nonostante tutte le mie paure. (Adesso al mia bambina è una bellissima diciottenne).
Dopo tre anni dalla nascita della mia piccola, decidiamo di sfidare ancora la sorte e proviamo ad avere un altro bambino. Primo tentativo: aborto alla 12ma settimana; secondo tentativo, dopo un anno, un altro aborto: 9° settimana; terzo tentativo, dopo un altro anno, ancora un aborto...non mi arrendo. So che il mio piccolo mi aspetta e che presto arriverà.
Dopo sei anni dalla nascita della mia piccoletta, a Natale 2010 scopro che qualcosa non va. Mi sento gonfia, strana, le mestruazioni non arrivano.
TEST DI GRAVIDANZA: POSITIVO!
Caspita un altro bimbo in arrivo!
Questa volta so tutto quello che devo fare, so tutte le problematiche che devo affrontare. Il mio piccolo maschietto nasce alla 38esima settimana tutto tondo e con una faccetta e due labbroni da baci incredibili.
Io e i miei cateteri
Tra una gravidanza e l’altra scopro il centro di unità spinale del Niguarda a Milano, è un centro in cui si prendono cura dei mielolesi e dei problemi di vescica atonica, neurologica come la mia. Sono seguita dal Dott. Spinelli. Da subito mi rasserena e mi propone un elettrostimolatore vescicale. Faccio tutte le prove nei due anni successivi, purtroppo niente, non funziona, la mia vescica non riparte. Il dott. Spinelli sempre con la sua calma e serenità mi dice di vivere la mia vita da donna sana, di considerare i cateteri come se fossero come i suoi occhiali da vista (“senza questi io non vedo nulla” mi dice), mi consiglia di evitare finché posso gli antibiotici, anche se i medici “tradizionali” sono pronti a prescriverteli subito. Mi dice di prenderli solo se compare la febbre alta. Faccio tesoro dei suoi consigli e inizio la mia nuova vita da donna diversamente abile.
Adesso la vita procede bene, le batteriurie ci sono sempre, è uno slalom, una vita a ostacoli ma sono riuscita a vivere felice.
Purtroppo tra gennaio e marzo 2023 mi tocca prendere tre antibiotici consecutivi: due per una broncopolmonite e uno (il Ciproxin, un fluorochinolone) per una brutta cistite emorragica. Per la prima volta mi compare anche la candida, sto male, mi brucia tutto. A fine aprile, dopo un mese dal Ciproxin, mi viene la febbre alta, dolori alla schiena, all’inguine e sento che qualcosa non va, devo andare al Pronto Soccorso. Mi ricoverano per una pielonefrite acuta da Escherichia coli ESBL il ceppo resistente dell’escherichia coli.
MI faccio 15 gg di ospedale con l’antibiotico in vena, ma incontro il mitico Prof. Trinchieri, l’infettivologo contro gli antibiotici per le cistiti. Facciamo una lunghissima chiacchierata e mi spiega come funzionano i batteri, mi spiega che siamo fatti di batteri e quando usiamo l’antibiotico uccidiamo tutto, è come buttare una bomba su un prato per eliminare le erbacce. Togliamo sì le erbacce ma eliminiamo anche il prato verde. Mi istruisce su come procedere dopo le dimissioni e mi prescrive per almeno un anno i fermenti lattici (450 miliardi di probiotici), uno al giorno, al mattino 30 minuti prima della colazione. Mi dice che dobbiamo
ricostruire la mia flora intestinale perché è completamente distrutta. Mi dice di prendere D-mannosio, Acido ialuronico, cranberry, vitamina c, uva ursina...insomma una miscela di tante cose buttate là...
Approfondimento: il D-mannosio
Nel frattempo approccio a CISTITE.INFO e leggo tutto. Ogni giorno vengo rapita dalle pagine del sito e trovo riscontro. La cistite ritorna, la mia amica Escherichia riappare (non più ESBL) e decido di mettere in atto lo Schema che trovo sul sito. Grazie a questo schema, D-mannosio, Purodefend urto, bicarbonato, fermenti lattici la cistite va via.
Approfondimento: guarda i nostri schemi di cura
Adesso mi sento bene, il D Mannosio è entrato nella mia vita quotidiana, così come i fermenti. So che la cura sarà lunghissima, dopo tanti anni di non curanza per le mie cistiti devo ricostruire e sanare tutto.
Siate forti e andate avanti, io sono qui, per supportarvi, consigliarvi e sostenervi.
Melina Spoto
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- Scritto da Rosanna Piancone
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Scritto dal Dott. Marco Agnello - Urologo
Quando parliamo di sindrome o nevralgia del pudendo facciamo riferimento ad un insieme di segni e sintomi che sono compatibili con una sofferenza del nervo pudendo.
Nonostante si parli spesso di sindrome del pudendo, essa è una patologia rara, che colpisce meno dell’1% della popolazione, e le donne più frequentemente degli uomini.
- Scritto da Rosanna Piancone
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Scritto dalla Dr.ssa Delle Cese Francesca (Endocrinologa)
e dal Dr Pulcini Gabriele (medico specialista in Scienza dell'alimentazione)
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è una condizione eterogenea e assai comune nelle donne in età riproduttiva. Clinicamente ha come connotati clinici tipici l’iperandrogenismo (aumento degli ormoni sessuali maschili) e alcune manifestazioni ovariche, in particolare l’anovulazione e l’aspetto micro-policistico delle ovaie.
Dimensione del problema
La frequenza è altamente variabile, anche in considerazione dei criteri che vengono utilizzati per porre la diagnosi.
Secondo i criteri del National Institute of Health (NIH) e di Rotterdam, circa il 6-10% delle donne è affetto da PCOS, rendendo tale condizione uno dei disordini endocrini più comuni della donna in età riproduttiva.
Bisogna però distinguere tra PCO (policistosi ovarica) e PCOS (sindrome dell'ovaio policistico). La PCOS, che coinvolge una donna su 4, indica semplicemente la presenza di cisti nell'ovaio e non sviluppa alcuna sintomatologia. La PCOS, che coinvolge il 10% circa della popolazione fertile femminile, è caratterizzata dai sintomi specifici di questa sindrome.
Sintomi
I sintomi tipici della PCOS sono: ipertricosi (aumento della quantità di peli in zone dove normalmente sono presenti peli nella donna), irsutismo (presenza di peli in zone dove normalmente non sono presenti peli nella donna, come schiena, pancia e volto), seborrea (eccesso di secrezione dalle ghiandole sebacee), acne, perdita di capelli, irregolarità mestruali (mestruazioni scarse con cicli superiori ai 35 giorni), anovulazione (assenza di ovulazione), obesità, dolore pelvico e disturbi psicologici.
Le pazienti si possono suddividere in 4 fenotipi:
- fenotipo A o completo: presenza di tutti i criteri diagnostici (anovulazione cronica, iperandrogenismo clinico e/o biochimico ed ovaie policistiche all’ecografia pelvica)
- fenotipo B o classico: presenza di anovulazione cronica e iperandrogenismo clinico e/o biochimico, in assenza di PCO all’ecografia pelvica;
- fenotipo C o ovulatorio: iperandrogenismo clinico e/o biochimico e PCO all’ecografia pelvica, in presenza di cicli mestruali ovulatori;
- fenotipo D o normoandrogenico: PCO all’ecografia pelvica e anovulazione, in assenza di iperandrogenismo clinico e/o biochimico.
Diagnosi
La diagnosi di PCOS viene posta dal ginecologo o dall'endocrinologo e poggia su criteri essenzialmente clinici. Una volta escluse altre patologie, che possano giustificare tali aspetti, la diagnosi di PCOS può essere posta in presenza di due qualsiasi fra questi tre elementi:
- iperandrogenismo (irsutismo, voce bassa, seborrea, acne)
- oligoanovulazione cronica (assenza ripetuta di ovulazioni)
- tipico quadro morfologico ovarico (con presenza di numerosi piccole cisti)
Si tratta dunque di una diagnosi di esclusione e nessuno degli elementi che caratterizzano la sindrome è specifico o obbligatorio.
L’aspetto micropolicistico dell’ovaio riflette la presenza di multipli piccoli follicoli bloccati allo stadio maturativo pre-antrale o antrale precoce e da solo non rappresenta un elemento
patologico.
Fra le patologie da escludere ci sono in particolare altre condizioni come la sindrome adrenogenitale, tumori androgeno-secernenti, l’iperprolattinemia, la presenza di alterazioni della
funzione tiroidea, la sindrome di Cushing o l’acromegalia, patologie più rare.
Purtroppo, come spesso accade per le patologie femminili, non tutti i ginecologi o endocrinologi si occupano dei vari aspetti della PCOs e spesso il paziente si trova sballottato a destra e sinistra senza meta prima di ottenere una diagnosi
Cause e patologie connesse
Le cause della PCOS, tuttora sconosciute, risultano probabilmente da una combinazione di fattori genetici, esposizione intrauterina ad alti livelli di androgeni, fattori epigenetici e ambientali. Tra questi ultimi il regime alimentare, il livello di attività fisica, il tabagismo e lo stress sembrano avere un ruolo di concausa.
Recenti scoperte hanno rivelato che i processi infiammatori sono coinvolti nell'ovulazione e svolgono un ruolo importante nella dinamica follicolare ovarica. Il tessuto adiposo viscerale è a tutti gli effetti un organo endocrino ed è legato alla presenza di uno stato infiammazione cronica.
La PCOS è quasi sempre associata ad alterazioni metaboliche inclusa l'obesità, il diabete, la dislipidemia e l'insulino-resistenza, la cui presenza è indipendente dal peso della paziente
(riscontrata nel 60-80% delle donne con PCOS).
Tale condizione aumenta il rischio di infertilità, patologie cardiovascolari, effetti psicologici che intaccano la qualità della vita (comprese ansia e depressione) nonché patologie oncologiche (carcinoma endometriale e mammario).
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Peso ed endometriosi
Alcuni studi hanno documentato che un aumento dell’adiposità viscerale è presente anche nelle donne con PCOS che ,con le misure antropometriche, hanno un BMI normale o basso.
L’adiposità addominale è l’aspetto più comune tra le donne con PCOS: tale tessuto determina un incremento della produzione di citochine infiammatorie, proteine con effetto di chemotassi sui monociti (MCP) e recluta cellule immunitarie portando alla persistenza del processo infiammatorio negli adipociti.
L’ingestione del glucosio, che correla all’entità dell’ insulino-resistenza, mantenuta dal tessuto adisposo viscerale, è in grado di indurre la risposta infiammatoria e aumentare la
produzione di radicali liberi (stress ossidativo).
Terapia
Il regime alimentare, il livello di attività fisica, il tabagismo e lo stress sembrano rappresentano fattori su cui agire a scopo terapeutico.
Le linee guida internazionali su questo tema indicano possibili opzioni terapeutiche, con la necessità di personalizzare il trattamento in base a caratteristiche cliniche e obiettivi specifici di
ogni paziente.
A seconda del fenotipo di presentazione della PCOS sarà l’equipe medica, insieme al paziente, a scegliere la strategia terapeutica migliore (terapia estroprogestinica, antiandrogeno, terapie locali per la gestione di acne e irsutismo, insulinosensibilizzanti, integratori, modifica dello stile di vita). Vediamone qualcuna nello specifico.
- Correzione stile di vita
La correzione dello stile di vita (abolizione del fumo e attività fisica aerobica) e la gestione nutrizionale delle pazienti con PCOS dovrebbe esse la chiave di volta del trattamento di queste pazienti. - Alimentazione
La perdita di peso con monitoraggio, tramite bioimpedenzometria, della qualità del decremento ponderale (riduzione della massa grassa e non della massa magra), è un vero e proprio punto di svolta per queste pazienti. Nessuno degli studi presenti oggi in letteratura ha documentato una maggiore efficacia di alcuni regimi dietetici rispetto ad altri ma ha ampiamente documentato che una dieta ipocalorica risulta comunque benefica per le donne affette da PCOS.
E’ pertanto fondamentale, come pure per il resto della popolazione generale, elaborare piani alimentari bilanciati il più possibile flessibili sulla base della quotidianità e delle preferenze delle pazienti in modo da favorire l’aderenza al piano dietoterapico, che deve essere visto come l’applicazione di un nuovo stile di vita e non come terapia “on-off” da seguire per brevi periodi con sacrifici da parte delle pazienti.
Il 22% circa delle pazienti affette da PCOS tendono a sviluppare obesità centrale, con conseguente iperinsulinemia compensatoria, fattori considerati determinanti nella patogenesidell’anovulazione cronica in relazione alle azioni svolte dall’insulina sulle cellule della teca ovarica. - Inositolo
Per tali motivi trovano indicazione sostanze insulinosensibilizzanti quali metformina ed inositoli, nei protocolli terapeutici sviluppati per trattare la sindrome. Gli inositoli e soprattutto il myo-inositolo ed il D-chiro-inositolo sono coinvolti il primo, nei meccanismi di assorbimento cellulare di glucosio, il secondo, in quelli della sintesi di glicogeno. La migliore supplementazione per donne affette da PCOS è dunque rappresentata dalla combinazione di myo-inositolo e D-chiro-inositolo allo scopo di ottenere un miglioramento della funzione ovarica.
La supplementazione orale con inositoli, in particolare in pazienti con BMI ed HOMA-index (indice di insulinoresistenza) aumentati, è fondamentale per ottenere un miglioramento del profilo metabolico e ottimizzare la funzionalità dell’asse riproduttivo. La riduzione della condizione di insulino-resistenza consentirà infatti di migliorare la qualità ovocitaria, la condizione dianovulatorietà cronica, il grado di fertilità e di ridurre il rischio di complicanze in un’eventuale gravidanza. - Acido Alfa lipoico
L’associazione di mio-inositolo e acido α-lipoico in pazienti affette da PCOS e sottoposte a PMA sembra migliorare i parametri metabolici, il volume ovarico e la qualità ovocitaria ed embrionale incrementando la funzionalità dell’asse riproduttivo ed il grado di fertilità. - Quercetina
Ultimamente diversi studi si sono interessati alla quercetina, un flavonoide bioattivo utilizzato per il trattamento di disturbi metabolici e infiammatori. La maggior parte degli studi ha supportato gli effetti benefici della quercetina sulla morfologia ovarica, sulla riduzione dei livelli di testosterone e dell’ ormone luteinizzante (LH) nonché una riduzione della resistenza all'insulina. Si suggerisce che i benefici della quercetina possano essere più strettamente correlati alle caratteristiche antiossidanti e antinfiammatorie dei suoi principi attivi.
Va comunque sottolineato che la terapia per le pazienti con PCOS è personalizzata e va sempre gestita in equipe con endocrinologo, nutrizionista e ginecologo che agiscano insieme per il bene della paziente.
Bibliografia
- Legro RS, et. Al. Endocrine Society. Diagnosis and treatment of polycystic ovary syndrome: an Endocrine Society clinical practice guideline. J Clin Endocrinol Metab. 2013 Dec;98(12):4565-92. doi: 10.1210/jc.2013-2350
- Azziz R, Carmina E, Chen Z, et al. Polycystic ovary syndrome. Nat Rev Dis Primers 2016, 2: 16057
- Moghetti P. Polycystic ovary syndrome. Giornale Italiano di Diabetologia e Metabolismo. 2017; 37:279-288
- Rostamtabar M, Esmaeilzadeh S, Tourani M, et al. Pathophysiological roles of chronic lowgrade inflammation mediators in polycystic ovary syndrome. J Cell Physiol. 2020;1–15.
https://doi.org/10.1002/jcp.29912 - Costanzo Moretti, Giulia Lanzolla. Uso dell’inositolo nella sindrome dell’ovaio policistico. L’Endocrinologo (2018) 19:17–19. https://doi.org/10.1007/s40619-018-0412-9
- Barbara Ciccantelli, Lorenzo M. Donini. Nutrizione e sindrome dell’ovaio policistico. L’Endocrinologo (2019). https://doi.org/10.1007/s40619-019-00629-7
- Pourteymour Fard Tabrizi F, et al. Quercetin and polycystic ovary syndrome, current evidence and future directions: a systematic review. J Ovarian Res. 2020;13(1):11. Published 2020 Jan 31. doi:10.1186/s13048-020-0616-z
- Scritto da Rosanna Piancone
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Cos’è l'endometriosi
L'endometriosi è una patologia cronica in cui un tessuto simile a quello uterino (endometriale) è presente in organi nei quali non dovrebbe esserci.
L'organo maggiormente coinvolto è l'ovaio sinistro, seguito dal cavo del Douglas, dall'ovaio destro, dai legamenti genitali. Più raro è il coinvolgimento di organi quali: l'intestino, la vulva, la vagina, la vescica, gli ureteri, la plica vescico-uterina, il setto retto-vaginale, l'appendice, i polmoni, le cicatrici ombelicali o quelle dovute a laparotomie ed episiotomie.
La Dottoressa Marra ci spiega cos'è l'endometriosi, quali sono i sintomi, come si diagnostica e come si cura.
L'endometriosi rappresenta la causa più frequente (50%) di dolore pelvico cronico in quanto il tessuto endometriosico, ovunque si trovi, si comporta come il tessuto uterino e, in seguito alle stimolazioni ormonali, cresce, si riduce e sanguina a seconda della fase mestruale. Ciò produce una risposta infiammatoria cronica, la formazione di cicatrici ed aderenze pelviche, che intrappolano organi e strutture qui presenti provocando stenosi (restringimenti), sofferenza e disfunzione degli organi e dei nervi presenti nella cavità pelvica, riduzione della capacità di difendersi dalle aggressioni microbiche, liberazione di mediatori che provocano il dolore (citochine, icosanoidi, immunomodulatori, trombossano, leucotrieni, chinine, istamina, ecc.).
Le prostaglandine contenute nel sangue mestruale fanno contrarre l’utero, il che genera dolore.
Lo stesso sangue mestruale che si accumulerà all'interno dei tessuti provocherà tensione locale e dolore, come quando abbiamo un livido (cioè una fuoriuscita di sangue nel tessuto sottocutaneo), che ci farà male finchè il sangue non verrà riassorbito.
La classificazione dell'American Society for Reproductive Medicine classifica l’endometriosi n base alle aree coinvolte, alla profondità dei punti endometriosici, alla presenza e dimensioni di aderenze e di endometriomi (ossia di cisti ovariche formate da endometrio) suddividendo questa patologia in 4 stadi: minima (grado I), lieve (grado II), moderata (grado III) e grave (grado IV).
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Chi colpisce l'endometriosi
Si calcola che le donne affette da endometriosi in forme più o meno gravi siano circa il 15% delle donne fertili.
I sintomi dell'endometriosi
I sintomi dell'endometriosi possono variare in base all'organo intaccato.
Quelli più comuni sono:
- dolore pelvico
- dispareunia (dolore ai rapporti sessuali, specialmente nella parte profonda della cavità vaginale)
- dismenorrea (dolore mestruale)
- dolore rettale
- infertilità.
In caso di endometriosi intestinale la defecazione potrebbe risultare dolorosa, con senso di gonfiore addominale e perdite di sangue dall'ano durante le mestruazioni.
In caso di endometriosi alle vie urinarie si avranno i tipici disturbi da cistite batterica.
Testimonianze dal forum
“...sono stata tra le prime a provare il San Mannosio e io come molte altre di voi ne ho trovato immediatamente giovamento....purtroppo probabilmente nella mia vita avevo già avuto troppe cistiti complicate da un'endometriosi severa...”
Esprit74 16/06/2009 Cistite.info
Approfondimento: Endometriosi vescicale: il caso di Giulia
La sintomatologia si manifesta o aumenta notevolmente durante le mestruazioni e durante l'ovulazione.
La gravità dell'endometriosi non è strettamente correlata alla sintomatologia, tant'è vero che anche in presenza di una estesa endometriosi alcune donne non lamentano sintomi e scoprono casualmente di avere questa patologia in seguito ad analisi effettuate per difficoltà di concepimento. Viceversa, in alcuni casi di endometriosi lieve il dolore pelvico è lancinante e costante.
“A proposito di dolori mestruali!!!!! stanno diventando insopportabili anzi un incubo come oggi.... Sono entrata in crea farma e anchee in medicitalia per capire quaqlcosa di più e tutti i sintomi che ho li ho riscontrati in altre testimonianze dove si parlava di una possibile endometriosi!
Ho delle vere e proprie contrazioni all'utero , la testa che non la sento più e crampi che partono dalla zona lombare per poi causarmi senso di nausea e vomito...... Ma sono mestruazioni queste?”
Lizzina72 01/09/2009 cistite.info
L'esperienza diretta di alcune donne, dell'associazione ALICE odv, affette da endometriosi.
Le cause dell'endometriosi
Le cause dell'endometriosi sono tuttora sconosciute benchè ci siano 3 ipotesi.
Una ritiene che alcune cellule endometriali risalgano nelle tube (mestruazione retrograda) per poi riversarsi nella cavità pelvica producendo nuovo tessuto endometriale
Un'altra sostiene che queste cellule endometriali si impiantino in sedi anomale durante lo sviluppo embrionale.
L'ultima ipotizza che infiammazioni e terapie ormonali possano provocare la trasformazione di tessuti normali in endometriali.
Complicanze dell'endometriosi
Le aderenze che si formeranno a causa dell'infiammazione protratta nei tessuti e nelle cavità coinvolte “intrappoleranno" gli organi pelvici, soprattutto genitali e urinari. Così durante l'ovulazione, la mestruazione o il rapporto sessuale ci sarà una trazione di questi organi attaccati alle aderenze e ciò provocherà dolore.
In caso di endometriosi si osserva spesso la presenza di cisti ovariche formate da tessuto endometriosico. Questi cosiddetti endometriomi possono rompersi provocando fortissimi dolori addominali.
Infiammazione e intrappolamento dei nervi protratti potranno instaurare un quadro di neuropatia pelvica caratterizzata da dolore e disfunzione degli organi pelvici.
“io ora mi svuoto con autocateterismo intermittente
sono in cura di antibiotico in continuo da un paio di mesi (ormai bevo antibiotici da una vita)...
chiaramente ho provato tutto, e quando dico tutto vado dal biofeedback alla puntura botulinica locale...all'idrocolonterapia ai medicinali naturali...
mi era pure crollato l'intestino nel mentre...
intervento fatto...risultati quasi nulli..
Briccina 02/10/2009 Cistite.info
La diagnosi di endometriosi
La diagnosi di endometriosi viene effettuata attraverso la laparoscopia (ossia l'esplorazione della cavità pelvica effettuata tramite piccoli fori praticati sull'addome in cui inserire il laparoscopio e gli eventuali strumenti chirurgici), la biopsia con esame istologico (viene analizzato il tessuto prelevato), la risonanza magnetica.
Il ca125 può essere di ausilio ma è totalmente aspecifico anche se per ora è l’unico usato. L’ecografia in mani esperte, insieme alla visita, ha maggior valore.
Purtroppo pochi ginecologi sono in grado di riconoscere l'endometriosi attraverso la visita. Talvolta non ne riconoscono neppure la sintomatologia e ciò comporta un ritardo diagnostico e terapeutico. Maggiore sarà il ritardo con cui verrà posta diagnosi di endometriosi, maggiori saranno i danni provocati e peggiore sarà la prognosi.
Al contrario, la diagnosi precoce consente di impostare subito una terapia ormonale nel tentativo di bloccare la malattia impedendo l'instaurarsi di complicanze pelviche.
“Ho 41 anni
Ho la cistite da quando ho 18 anni.
Non voglio prolungarmi troppo, credo che il cammino sia stato lungo e doloroso per tutte...
sono passata da fasi di cateterismo fisso a fasi di sospetta sclerosi multipla con tanto di prelievo del liquor...elettromiografie uetrali..(no comment)....per poi scoprire 5 anni fa che ero affetta da endometriosi...
Briccina 02/10/2009 Cistite.info
La cura dell'endometriosi
La terapia ha l'obiettivo di ridurre il dolore e le zone endometriosiche. Può essere farmacologica o chirurgica.
Terapia farmacologia
Non esistono farmaci in grado di ridurre le zone endometriosiche, ma esistono farmaci in grado di tenere stazionaria la malattia. Infatti è comune il riacutizzarsi della sintomatologia una volta sospesa la terapia.
I farmaci che bloccano l'attività dell'endometrio uterino e di tutti i focolai presenti fuori dall'utero sono: ormoni (estrogeni, progestinici, spirale medicata), inibitori del GnRH (l'ormone che stimola la produzione di steroidi ovarici).
In associazione ai farmaci vengono utilizzati antinfiammatori per lenire il dolore e l'infiammazione.
L'uso della terapia farmacologica è sempre la prima scelta del medico per evitare interventi chirurgici. Laddove però ci siano endometriomi, estese aderenze pelviche, ostruzione delle tube e grave dolore pelvico, si procede con la chirurgia laparoscopica.
Terapia chirurgica
Con la laparoscopia, attraverso dei piccoli fori nella cute addominale, vengono introdotti nella cavità pelvica alcuni strumenti che possono essere: il bisturi elettrico, il laser o gli ultrasuoni. Con questi strumenti verranno minuziosamente asportati o distrutti tutti i focolai endometriosici, eliminate le cicatrici, le aderenze che si sono formate, liberati gli organi intrappolati, tolte le eventuali cisti ovariche.
Nei casi più gravi e nelle donne che non desiderano gravidanze, vengono asportati utero, tube e ovaie.
Purtroppo nel 50% dei casi trattati chirurgicamente il tessuto endometriosico si riforma obbligando la donna a continui interventi.
Inoltre capita non raramente che, nonostante l'asportazione di tutti i focolai endometriosici il dolore pelvico purtroppo persista. Infatti a causa dell'infiammazione costante e dei numerosi interventi dovuti alle recidive, il dolore locale superficiale si trasformi in dolore neuropatico profondo facendo persistere la sintomatologia anche dopo l'eliminazione delle zone endometriosiche. In questi casi la classica terapia antidolorifica sarà inefficace e diventerà utile una terapia che elimini lo stimolo dolorifico a livello nervoso (antidepressivi e antiepilettici prevalentemente).
Testimonianze dal forum
“...un'endometriosi severa che mi ha costretta ad un intervento in laparotomia che mi ha conciato il pavimento pelvico come un colabrodo e questo ha ulteriormente complicato il tutto (intestino, vescica, ovaie ecc....). il dolore cronico nel mio caso è diventato neuropatico...”
Esprit74 16/06/2009 Cistite.info
Lo stesso intervento chirurgico non è esente da rischi intraoperatori che talvolta possono peggiorare la situazione iniziale.
“A fine mese compio 41 anni, sono incinta di sei mesi (primo figlio ...miracolo )
mi hanno fatto due interventi, ed il secondo è andato malissimo...mi hanno "tagliato" erroneamente durante l'intervento dei nervi periferici..cosi oltre ai problemi vescicali già in essere sono subentrati quelli rettali...
per la vescica cateteri, per il retto svuotamento manuale...
mi hanno impiantato un neuromodulatore sacrale...ha fatto effetto qualche mese solo sulla vescica..poi tutto come prima...
sono andata a pordenone, milano, roma, verona, credo di conoscere tutti gli urologi....
Quest'anno a pagamento sono andata in svizzera per fare riposizionare il neuromodulatore sacrale su 3 nervi invece che su uno...
vabbè...
ora poi in gravidanza ho dovuto spegnere il marchingegno...
Briccina 02/10/2009 Cistite.info
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Bibliografia
- Petruzzelli et Al. “Dolore pelvico da endometriosi” da “AISD Associazione Italiana per lo Studio del Dolore: XXIII Congresso Nazionale”Torino 2001, di Margaria, Gollo, Springer editore, pagg 211-218
- Monaco “Linee-guida per la diagnosi, la terapia e il controllo delle malattie endocrine e metaboliche”Vol III, SEE Firenze Pagg 45-47
- Manuale Merk “Endometriosi” da Ginecologia e ostetricia (http://www.msd-italia.it/altre/manuale/index_gen.html)
- Bruni, Dei “Ginecologia del periodoneonatale e dell'età evolutiva”, SEE Firenze, Pagg 268-271
- Chieffi, Bonfirraro, Fimiani “Ginecologia ambulatoriale”, SEE Firenze, pagg. 141-150
- Scritto da Rosanna Piancone
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- Cistite.info APS Onlus
Scritto dal Dr Massimo Felice Nisticò
"L’Endometriosi è la presenza di endometrio e stroma di endometrio al di fuori della cavità uterina in altre zone del corpo femminile, normalmente nella pelvi.
Questa malattia può colpire le donne dalla prima mestruazione ed eccezionalmente anche prima del primo ciclo mestruale nell’infanzia, normalmente dal tempo del suo primo periodo alla menopausa, anche se dopo i 40 anni la crescita del tessuto endometriale presente fuori dalla cavità uterina sembra più lenta.
La malattia si sviluppa indipendentemente dal fatto di aver avuto o meno gravidanze anche se dopo le gravidanze, qualora presente già prima della gravidanza, sembra avere una crescita più accelerata.
La sua presenza è indipendente dalla razza e dallo status socio-economico. L’Endometriosi può qualche volta persistere dopo la menopausa o a seguito di ormoni presi per i sintomi in menopausa può far continuare l’endometriosi.”
(dalla definizione di ENDOMETRIOSI riportata sul sito ufficiale del Centro Italiano dell’Endometriosi)
È in quest’ottica che si colloca il caso clinico di una giovane donna, trentenne, nullipara, con “disturbi all’area pelvica” non meglio precisati. La paziente – che per ovvia opportunità chiameremo con un nome di fantasia “Giulia” - si presenta al mio studio accompagnata dalla madre; è avvilita, anche se si è attrezzata con il miglior sorriso per lei possibile, e con semplici parole mi confida che vorrebbe avere un consulto specialistico dopo aver girato per più ambulatori senza essere riuscita a “risolvere una volta per tutte queste cistiti che ritornano quasi ad intervalli regolari e a volte sono anche di tipo emorragico”.
All’esame clinico Giulia non manifesta particolari segni patologici di rilievo, eccetto una spiccata dolenzia alla palpazione della zona pelvica (l’area di pancia al di sotto dell’ombelico). Indagando nella sulla sua storia patologica viene fuori solo un particolare stato di malessere in prossimità del ciclo mestruale, peraltro abbastanza regolare, che si protrae anche dopo l’inizio delle mestruazioni.
Circa un anno fa le è stata diagnosticata una cisti ovarica (all’annesso di sinistra) che in seguito le è stata asportata per via laparoscopica e che si è dimostrata istologicamente una “cisti semplice, benigna”.
Durante l’esame obiettivo di Giulia, dopo averla osservata nella deambulazione, nel controllo della muscolatura pelvi-perineale, e all’esplorazione dell’area genitale e perineale, viene fuori una spiccata dolenzia nella zona vaginale profonda a sinistra (fornice posteriore sinistro) che, tuttavia, con la manovra bimanuale si accentua alla delicata pressione sulla vescica. Giulia riferisce che questo “disturbo” le capita anche durante i rapporti col partner che, da un paio di mesi, si sono diradati moltissimo. Mi accerto che non ci siano particolari trigger-point all’ispezione delle superfici vaginali, nelle regioni del pudendo, e che non si possano evocare dolori o deficit legati a patologie coccigee.
Tuttavia, non è spiegabile il quadro clinico così doloroso in un contesto di totale “normalità” clinica. Perciò decido si eseguire un’ecografia dell’addome e della pelvi e, osservando una vescica poco piena si intravede una piccola alterazione sul pavimento vescicale. Per questo motivo, e per gli episodi di riferita “cistite emorragica”, spiego a Giulia della necessità di sottoporla ad un esame endoscopico vescicale: una cistoscopia. La Paziente comprende appieno le motivazioni dell’esame invasivo e accetta la procedura.
Alla Cistoscopia si può constatare una normalissima mucosa vescicale (senza, quindi, le alterazioni caratteristiche della cistite interstiziale o della cistite emorragica) ma, in prossimità dello sbocco ureterale sinistro si evidenzia una formazione vegetante, con aspetto bolloso, senza le caratteristiche di un tumore vescicale (quello che in gergo non-medico è detto “papilloma” o, talvolta, “polipo” vescicale).
Giulia segue dal monitor la cistoscopia e le spiego man mano quello che stiamo osservando; le dico di voler fare delle biopsie perché il quadro cistoscopico è fortemente sospetto. Dopo due settimane abbiamo la risposta: “Neoformazione uroteliale iperplastica di tipo Papilloma Invertito della Vescica”.
Giulia e la sua famiglia sono informati della benignità della formazione ma anche della necessità di procedere all’asportazione di tutta la neoformazione e di parte dell’area di mucosa vescicale periferica.
Fissiamo la data dell’intervento endoscopico tenendo conto che è imminente il prossimo ciclo; tuttavia, circa 36 ore prima del ciclo Giulia riferisce un nuovo episodio di “ematuria macroscopica” (vede le urine rosse, come una cistite emorragica!). La tranquillizzo e le prescrivo un blando disinfettante (non antibiotico!) e del mannosio. Puntuale, arriva il ciclo con il corteo di sintomi orami ben noti alla paziente.
Si arriva all’intervento e si asporta tutta la neoformazione e parte della mucosa periferica. L’intervento è riuscito e il decorso post-operatorio è regolare e senza problemi. Due giorni dopo Giulia è dimessa e senza disturbi particolari. Si devono attendere ancora quattro settimane per la risposta istologica definitiva e, durante questo periodo, si comincia a prefigurare un percorso di controlli endoscopici e di terapia endovescicale.
Convenzioni per i soci
Al ciclo mestruale successivo non si verifica ematuria (come tutti immaginavamo), ma permangono i disturbi “soliti” che, in prima battuta, ho ritenuto fossero legati allo stress operatorio. Mi sbagliavo! L’esame istologico definitivo ha dato esito positivo per Endometriosi Vescicale con note di “iperplasia reattiva dell’urotelio alla periferia della lesione”. Significava che le tracce di “papilloma invertito” che erano state descritte alla biopsia erano da attribuire all’esiguità del campione bioptico che conteneva tessuto periferico ben leggibile (“papillomatosi”) e solo parte della lesione vegetante che non ha permesso una chiara diagnosi di tessuto endometriale o stroma endometriale.
Giulia è stata indirizzata all’unità operativa di Ginecologia ed è seguita dai colleghi che si occupano di endometriosi. Sta bene ed è un po’ più serena per aver trovato “la causa del suo malessere”. Sa che sarà seguita sia dal punto di vista urologico che da quello ginecologico; nei nostri colloqui ha cominciato ad acquisire la consapevolezza che questa patologia presenta quadri diversi per ciascuna donna, con periodi di maggiore disagio alternati a periodi di quiescenza. Ma Giulia sa anche che in questo percorso non è sola: lo sa perché lo ha già sperimentato e, da qualche settimana, se ne è resa conto attraverso i vari forum che quotidianamente ha preso a frequentare… con atteggiamenti volti al positivo.
Approfondimento: Endometriosi - cause, sintomi, diagnosi e terapie.
- Scritto da Dr Massimo Felice Nisticò
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La sindrome da congestione pelvica (PCS) è una sindrome causata da un blocco della circolazione saguigna a livello pelvico (varicocele pelvico). La conseguenza sarà un dolore pelvico recidivante accompagnato da sintomi simili alla cistite e all'endometriosi, con le quali spesso questa patologia viene confusa.
Sintomi
La sindrome da congestione pelvica è una sindrome caratterizzata da dolore pelvico recidivante di varia intensità, peso addominale, irritabilità vescicale, urgenza minzionale, gonfiore addominale, irradiazione del dolore anche a livello lombo-sacrale, alle natiche e alle cosce, flusso mestruale anomalo, perdite vaginali atipiche, dispareunia (dolore ai rapporti), stipsi, dolori mestruali.
I sintomi aumentano con la mestruazione e nel periodo premestruale, con l'affaticamento, il rapporto sessuale e la gravidanza, a fine giornata e con la stazione eretta. Questi disturbi tendono a scomparire con l'avanzare dell'età e con la menopausa.
Per ragioni anatomiche il varicocele si forma più frequentemente a sinistra provocando dolori soprattutto in questa zona. Più raramente può essere invece bilaterale coinvolgendo tutta la zona pelvica.
Statisticamente si calcola che il 15% delle donne in età fertile abbia un varicolece pelvico di entità diverse e molte di queste donne non hanno sintomi.Tra tutte le donne che soffrono di dolore pelvico cronico si calcola che nel 30% il varicocele pelvico è la causa unica di questi dolori, nel 15%, ill varicocele è associato ad altre patologie pelviche che giustificano tali dolori.
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Le cause
La causa di PCS nel 90% dei casi è il varicocele pelvico (o insufficienza venosa pelvica), cioè un allargamento della vena ovarica, in cui il sangue viene “bloccato” (congestionato).
Normalmente il sangue nelle vene viene spinto da numerose valvole verso il cuore, dove verrà pompato nei polmoni per essere ossigenato. Da qui ripartirà per un nuovo "giro" attraverso le arterie che portano il sangue ricco di ossigeno ai vari organi.
Per spiegare meglio cosa avviene in caso di varicocele paragonerò il circolo sanguigno alle strade di una grande città (le vene), regolate dai semafori (le valvole). Queste strade portano le macchine (il sangue) verso il centro (il cuore). Se un semaforo smette di funzionare le macchine cominciano ad accumularsi sempre di più a questo incrocio provocando un traffico che non a caso viene definito “congestionato”. Le macchine cominceranno a prendere vie collaterali per sfuggire all'ingorgo, ma col tempo anche queste strade si intaseranno provocando disguidi in tutta la zona della città a monte del guasto.
In caso di varicocele le valvole presenti nella vena malata non funzionano, il sangue fatica a tornare al cuore, si ferma in questo punto della vena accumulandosi e dilatandola sempre di più. Il nuovo sangue in arrivo quindi tenderà ad andare dove le vie sono più libere provocando però congestione anche in queste zone vicine. L'accumulo di sangue in queste zone provoca l'aumento della pressione sulle pareti venose, la loro distensione eccessiva (tipo palloncino gonfiato), l'aumento del loro diametro e lo stiramento delle cellule che le compongono. Tutto ciò comporta dolore pelvico cronico e spesso anche sofferenza degli organi pelvici (utero, vescica, retto, vagina), dell'ano, della vulva e degli arti inferiori. Infatti il varicocele pelvico spesso è responsabile di emorroidi, vulvodinia e vene varicose alle gambe, alla vulva e al perineo.
Ma qual è la causa di questo varicocele pelvico? Esso può essere causato da malformazioni genetiche delle valvole nelle vene ovariche, da squilibri ormonali, da ovaio policistico, o da alterazioni anatomiche ed ormonali in seguito alla gravidanza (infatti maggiore è il numero di gravidanze e maggiore è il rischio di varicocele pelvico ovarico). Anche un ipertono della muscolatura pelvica, andando a schiacciare le vene che passano nel pavimento pelvico, può provocare varicocele.
La diagnosi
Purtroppo prima di arrivare alla diagnosi di PCS da varicocele pelvico le donne che ne soffrono vengono curate come affette da cistite, infezioni vaginali, endometriosi, psicosomatizzazione. Questo non fa che aggravare la malattia, la sintomatologia e lo stress subito.
La diagnosi strumentale viene fatta utilizzando l'eco-color-doppler vaginale e pelvico e l'angio-risonanza magnetica.
La terapia
La terapia è esclusivamente chirurgica e consiste nel bloccare l'afflusso di sangue in questa vena, in modo che il flusso venga deviato su altre vene più funzionanti..
L'intervento può essere eseguito tagliando l'addome (molto invasivo, con maggiori rischi e con lunghi periodi di ripresa, non più eseguito se non in rari casi particolari), con laparoscopia (si entra nella cavità pelvica attraverso piccoli fori sulla cute, in anestesia generale), o con scleroembolizzazione retrograda (tecnica mini invasiva effettuata in anestesia locale ed in day hospital, che consiste nell'introddurre un cateterino nella vena femorale a livello inguinale che da qui risalirà fino alla vena ovarica congestionata in cui verrà iniettata una sostanza sclerotizzante, cioè che occluderà la vena difettosa impedendo la congestione sanguigna).
Sebbene poco frequenti, ci possono essere recidive di varicocele pelvico dopo l'intervento. Inoltre bisogna segnalare che purtroppo non sempre la risoluzione del varicocele pelvico rimuove la sintomatologia dolorosa laddove ci siano altre patologie pelviche concomitanti responsabili dei sintomi (contrattura pelvica, vulvodinia, neuropatia).
- Scritto da Rosanna Piancone
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